Gli autori del teatro spagnolo: Calderon de la barca e Tirso de Molina

 

·        Pedro Calderon de la Barca

Calderón de la Barca fu l'ultima grande figura dell'Età dell'Oro (il cosiddetto Siglo de Oro) della letteratura spagnola.

Nacque nel 1600, frequentò il Collegio Imperiale della Compagnia di Gesù a Madrid e l‘università di Salamanca. Iniziò a scrivere a ventitré anni e il suo talento gli venne immediatamente riconosciuto, al punto che, dopo la morte dello scrittore teatrale Lope de Vega nel 1635, il giovane Calderón venne riconosciuto come il massimo autore drammatico dell'epoca.

Nel 1636 suo fratello José curò il primo dei suoi nove volumi (Partes) di drammi contenente il suo capolavoro: “La vita è sogno” (1635). Il dramma narra le vicende di Basilio, re di Polonia e appassionato di astrologia, a cui gli astri hanno predetto la nascita di un figlio (Sigismondo) perfido e assetato di potere. Il bambino nasce dopo un travagliato parto che porta la madre alla morte: Basilio trova conferma della divinazione e si convince a far segregare Sigismondo tra le gole dei monti. Dopo varie peripezie, il principe riesce a conquistare la libertà; trovatosi a confronto con il padre, lo batte in un duello al termine del quale, tuttavia, smentendo le previsioni degli oroscopi, si getta ai piedi del genitore. Basilio riconosce allora la follia degli astri e lo proclama principe. Da allora, Sigismondo regnerà con equità ristabilendo la giustizia. Il tema, dietro al conflittuale legame tra il padre re e il figlio principe, è inscritto nel contesto della vittoria del libero arbitrio sulla predestinazione imposta da forze estranee alla tradizione cattolica. L'analisi della forza interiore dell'individuo, che si esprime nel prevalere del libero agire della volontà, deriva a Calderón dagli studi tomisti e agostiniani filtrati dall'interpretazione dei gesuiti spagnoli Molina e Suarez. Secondo alcuni critici, il tema de “La vita è sogno” va ad inserirsi in quella che fu senza dubbio la più grande discussione politica del Seicento: il dibattito tra ragion di stato ed utopia. Il termine “ragion di stato” indica sostanzialmente tre cose: il superiore interesse della comunità in contrasto con l’interesse dei singoli; il peso preminente della ragione politica nei confronti di quella morale; la scienza stessa della politica. Secondo i critici è la ragion di stato a spingere il re Basilio a segregare Sigismondo tra le gole di monti. Il tema della ragion di stato è presente in un altro episodio della stessa tragedia: Sigismondo, diventato saggi e re, rinuncia all’amata Rosaura per sposare la cugina Estrella e rafforzare così il regno.

Nel 1636 il re Filippo IV, che aveva commissionato a Calderón la stesura di una serie di drammi per il teatro reale, lo nominò Cavaliere dell'Ordine di Santiago.

Calderón prese residenza come prebendario nella Cattedrale di Toledo nel 1653, e fu ordinato cappellano onorario del re nel 1666, e fu mantenuto a spese della corte fino alla morte (1681). Da allora, il drammaturgo si dedicò principalmente a scrivere autos sacramentales. Due dei suoi autos, Il grande teatro del mondo (1649) e Il convitto del re Baldassarre (1634 ca.), vengono ancora allestiti in Spagna.

Nelle commedie (ce ne sono pervenute 120) Calderon riprese in origine il linguaggio di Lope de Vega (commedie di cappa e spada, di argomento storico o leggendario) pur semplificato e stilizzato, per poi passare, dopo il 1635 circa una produzione in qualche modo autonoma, in cui trovano posto commedie fantastiche, mitologiche, filosofiche, incentrate sui cardini dell’onore, della lealtà, dell’amore. Pur mantenendo l’ispirazione popolare, il teatro di Calderon giunse a un notevole affinamento di livelli linguistici e a una particolare raffinatezza tecnica (scenografie complicatissime, ricche di effetti e invenzioni), che ne fecero l’autore ideale del teatro di corte. Ricordiamo di lui, tra le commedie ispirate al teatro di Lope : “La dama duende” (La donna fantasma,1629); “El alcalde de Zalamea (Il podestà di Zalamea, 1642), “El mayor monstruo, los celos (Il maggior mostro, la gelosia, 1635); appartengono al periodo più maturo della sua attività: “El castello de Lindabridis” (Il castello di Lindabridis, 1660); “El magico prodigioso” (Il mago dei prodigi, 1637), e la già ricordata “La vida es sueno” (La vita è sogno, 1635).

 

·        Un autore minore: Tirso de Molina

Premesso che i due massimi esponenti del teatro spagnolo del Seicento rimangono Lope de Vega e Calderon de la Barca, in quel periodo vi è anche la presenza di Tirso de Molina.

Tirso de Molina (1584-1648) prosegue nella direzione presa da Lope de Vega. Entrato giovanissimo nell’ordine della Mercede, iniziò ben presto a scrivere di teatro, attività che, con una breve sospensione in seguito all’intervento di un tribunale ecclesiastico, continuò fino alla morte, avvenuta nel convento di Soria dove dal 1465 era superiore. Il teatro di Tirso de Molina , attento alla realtà sociale del suo tempo, ricco di personaggi psicologicamente ben definiti, comprende drammi di ambiente religioso, storico, commedie d’amore e la famosa “incatalogabile” commedia “El burlador de Sevilla y Convidado de pietra” (Il beffatore di Siviglia e Convitato di pietra, 1630) che inaugura la tradizione europea di Don Giovanni, ingannatore, beffatore e seduttore. A lui sono attribuite oltre 400 opere drammatiche: solo 59 ci sono pervenute.

 

 

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