Gli autori del teatro spagnolo: Lope de Vega

 

Nacque a Madrid nel 1562, da un artigiano che lo lasciò orfano in giovane età. Lope potè proseguire i suoi studi presso l’università di Alcalà de Henares grazie alla protezione del vescovo, Jeronimo Manrique, che intendeva avviarlo al sacerdozio.

Nel 1587 a Madrid, querelato per diffamazione da un’ex amante, l’attrice Elena Osorio da lui derisa in versi satirici, fu condannato a otto anni di esilio dalla capitale. L’anno successivo sposò a Toledo la giovane Isabel de Urbina che morirà nel 1595. Lo stesso anno del matrimonio si arruolò nell’Invincibile Armata; partì da Lisbona alla volta dell’Inghilterra. Rientrato vinto in patria, partecipa alla brillante vita letteraria che si svolgeva a Valenza: vivacissima era l’attività teatrale e le esperienze che Lope visse qui, segneranno notevolmente il suo lavoro successivo. Da tempo, infatti, era iniziata la sua produzione teatrale che qui si sviluppa e matura ulteriormente.

Rimasto vedovo, morte anche le due figlie, tornò a Madrid ed iniziò una relazione con l’attrice Micaela de Lujan, che gli diede sette figli, tra i quali Lope Felix e Marcela, i prediletti di Lope.

Nel 1597 inizia il poema epico “La Dragontea”, sulle avventure del corsaro inglese Francio Drake; termina nel 1598 la “Arcadia”, poema pastorale. Nel 1604 pubblica “El peregrino en su patria”, sorta di romanzo autobiografico in cui inserisce allusioni a riferimenti reali e ai suoi amori con Micaela de Lujan, riflessioni di teoria letteraria, soprattutto di teatro e una lista di commedie che aveva scritto fino a quel momento.

Nel 1605 torna a Madrid dove servirà come segretario il duca di Sessa. Nel 1609 appare il poema epico a imitazione del Tasso “La Jerusalem conquistada”. Intanto lo stato di depressione di Lope inizia ad aggravarsi e nel 1614 prende gli ordini religiosi. Lo stesso anno pubblica le “Rimas sacras”. Nonostante l’età e la sua scelta religiosa, Lope nutre una forte passione amorosa per Marta de Nevares, che morirà cieca e pazza nel 1632.

Continua la sua fervida attività letteraria e teatrale, rielabora la sua opera giovanile “La Dorotea” e appaiono le “Rimas de Tomè de Burguillos” nel 1634 in cui è contenuto il poema burlesco “La Gatomaquia”.

Lope de Vega si spense il 27 agosto del 1635. Le onoranze funebri durarono nove giorni e fu seppellito nella chiesa di San Sebastian a Madrid.

La produzione letteraria di Lope de Vega fu vastissima: da 1500 a 1800 commedie, di cui oggi ne possediamo circa 500. Non tutti i testi che ci sono pervenuti sono affidabili, infatti, solo nel 1617 Lope decide di pubblicare direttamente le sue commedie, giustificando il fatto con una serie di prologhi che da un lato sottolineano la necessità di presentare testi corretti, dall’altra rivendicano la dignità letteraria della commedia.

Accanto alle opere teatrali troviamo una gran varietà di liriche, sonetti, canzoni e romanzi in prosa. Trattò inoltre forme e temi in voga nella sua epoca. Spicca tra queste “El arte nuevo de hacer comedias” (Nuova arte di far commedie) del 1609.

Non si tratta solo di un’esposizione della sua poetica, ma è anche uno dei più importanti trattati di drammaturgia dell’intera storia del teatro.

E’ infatti alla sua imponente opera teatrale che è affidata la fama di Lope. E’ il creatore della tipica forma drammatica spagnola: si tratti della commedia, propriamente detta o della tragicommedia. Analizziamo quindi gli elementi che fanno della commedia lopesca un genere così unico. Lope divide il testo in tre atti o “ giornate”, senza alcun rispetto per le unità aristoteliche di tempo e di luogo, invece di sottomettersi alla tirannia del tempo e dello spazio, si serve di questi come strumenti per intensificare il ritmo dell’azione. Mantiene l’unità di azione che ama spesso interrompere con liriche intercalate che rappresentano canzoni, ballate o poesie. Ci troviamo di fronte a due o più intrecci, con la mescolanza di elementi comici e drammatici, i cui protagonisti provengono sia dalla classe nobile sia da quella plebea. Alterna, pur non abbandonando mai un’espressione lineare, il linguaggio colto e quello popolare, elementi realistici e indicazioni metafisiche o simboliche.

Tutte le sue commedie sono scritte in versi, endecasillabi e ottosillabi; variano molto le strofe: romances (Romance: composizione lirica di carattere popolare formata da una serie interminabile di ottosillabi con rima assonante nei versi pari, i versi dispari rimangono liberi), sonetos (Soneto: metro di origine italiana formato da due terzine e due quartine di endecasillabi con rima consonante), redondillas (Redondilla: strofa di quattro versi ottosillabi sempre con rima consonante; può trattare qualunque tema: Lope la consigliava per temi amorosi), décimas (Decima: strofa di dieci versi ottosillabi con rima consonante), usate a seconda del tema da trattare e dello stato d’animo del protagonista.

Tematicamente le sue opere teatrali traggono ispirazione da tutti i generi del suo tempo. La massima parte dei suoi capolavori sono commedie di costume contemporaneo basate su vicende amorose e intrecci: “La noche toledana”, “La dama boba”, “El perro del hortelano”. Oppure sono drammi storici o basati su leggende spagnole: “Fuenteovejuna”, “Peribañez y el comendador de Ocaña”, “El alcalde de Zalamea”, “El Caballero de Olmedo”. Per quanto riguarda i protagonisti delle commedie, ritroviamo quasi sempre uno schema fisso: il galán, giovane e nobile cavaliere e una bella dama; i due uniscono le loro forze per superare gli ostacoli che si oppongono al loro amore.

Accanto a queste due figure principali si muove quella del gracioso: è un servo del protagonista che interviene attivamente nella trama, aiutando il suo padrone. È il portatore di tutti gli aspetti negativi violentemente rifiutati dal cavaliere: paura, avidità, sonno, fame… Deriva dal servo della commedia latina di Plauto e Terenzio e da quella italiana e può talora essere il motore dell’intreccio. Personaggio complesso, con grande abilità verbale, depositario dell’arguzia. Ha inoltre una funzione di alleggerimento della tensione drammatica, con un meccanismo di straniamento che può a volte creare una rottura dell’illusione scenica. Altri due personaggi costantemente presenti sono: il re, fonte di ordine e giustizia e il padre nobile, custode dell’onore familiare.

Si svilupparono delle controversie sulla liceità del teatro intorno agli anni 1609-17, 1640, culminando nel 1646 con la cessazione delle rappresentazioni ordinata dal re. Ne consegue un irrigidimento dei personaggi: verrà abbandonata l’affettività in favore di un autocontrollo emotivo e un assottigliamento del linguaggio.

Comunque i suoi personaggi sono carichi di sfumature psicologiche che trovano i loro accenti migliori nella descrizione della passione amorosa o nella difesa dell’amore.

Per la prima volta Lope presenta le sofferenze dei contadini oppressi da qualche signorotto locale e spinti a una rivolta legittimata e santificata dalla sanzione del re, in difesa dell’onore nazionale. È soprattutto grazie a Lope che la figura del contadino, da sempre personaggio comico e sciocco, acquista più rispettabilità e spessore psicologico.

Il teatro di Lope de Vega è un teatro di intrecci complicati, di frequenti colpi di scena, di travestimenti ed equivoci, scritti non per la pagina, ma per un pubblico avido di emozioni. La difficile classificazione, dovuta anche all’estrema incertezza sull’ordine cronologico dei testi, fa si che si possa considerare tutta la sua produzione teatrale come un’unica commedia umana, summa dei sentimenti, delle inquietudini, credenze e speranze del popolo spagnolo.

                                                              

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